Grammatica dei bambini: la frase

Elena Maria Duso ha già recensito in questo blog il primo di una serie di tre volumetti, pubblicati da Carocci nella collana Tascabili Faber, intitolati “Grammatica dei bambini”, che si propongono di fornire uno strumento utile agli insegnanti interessati al rinnovamento dell’insegnamento della grammatica nella scuola primaria. Se il primo volume (di Veronica Ujcich con Stefania Tonellotto) è dedicato alle parti del discorso e alla morfologia, il secondo, scritto da Diana Vedovato e Vera Zanette, si occupa della sintassi, in quanto è incentrato, come dice il titolo, sulla frase. È programmato anche un terzo volume intitolato più generalmente alla “lingua”, in cui le quattro autrici del progetto affrontano varie questioni collegate alla riflessione sulla lingua materna, oggetto dell’insegnamento.
Non descriverò qui qual è la struttura complessiva del volume e come viene organizzato al suo interno: per una illustrazione più dettagliata rimando alla presentazione che le autrici stesse hanno fatto il 4 giugno scorso nell’ambito di un incontro via Zoom organizzato dal GISCEL Veneto, che è stato registrato e che è disponibile.


Mi soffermo brevemente su alcuni aspetti di questo volume che mi sono sembrati i più innovativi e i più meritevoli di essere segnalati.
In primo luogo, in accordo con il programma generale che è alla base del progetto, l’insegnamento della grammatica nella scuola primaria viene implementato attraverso un metodo di lavoro che richiama le modalità proprie di quello che le autrici chiamano un laboratorio scientifico. Le nozioni grammaticali vengono acquisite attivando un procedimento di scoperta, attraverso prove e esperimenti che fanno riferimento in primo luogo alle competenze linguistiche (nascoste) degli alunni, che vengono così indotti a riflettere sui dati linguistici, a organizzarli, a cercare generalizzazioni. Beninteso, tutto il processo deve avvenire sotto la guida presente, attenta e autorevole dell’insegnante, che deve sempre aver chiari gli obiettivi da raggiungere. Da questo punto di vista le autrici propongono non solo una serie di esercizi (spesso sotto forma di attività ludiche) da sottoporre alla riflessione degli alunni, ma suggeriscono anche esplicitamente agli insegnanti quelle che potrebbero essere le reazioni degli alunni stessi, in modo da indirizzare la discussione e l’analisi verso il raggiungimento dell’obiettivo che ci si propone di perseguire.


La ragione per cui considero questo volumetto particolarmente ben riuscito così da costituire uno strumento didatticamente prezioso, è dovuto al fatto che le due autrici sono riuscite a contemperare in modo davvero ammirevole le due esigenze che libri di questo genere devono soddisfare: l’efficacia didattica da una parte e il rigore dell’analisi linguistica dall’altra. Come ho già accennato, dal punto di vista dell’applicabilità della proposta, mi sembra che Diana Vedovato e Vera Zanette abbiano fatto un lavoro eccellente, perché hanno messo in atto tutta una serie di accorgimenti di vario tipo molto ingegnosi rivolti agli insegnanti per metterli nella condizione migliore per guidare la classe alla riflessione grammaticale. Non mi soffermo ulteriormente su questo punto, rimandando alla lettura del loro lavoro e alla presentazione dello stesso. Mi soffermerò piuttosto sull’altro aspetto, quello che riguarda i contenuti proposti per la riflessione. Vista la mia provenienza e i miei ambiti di interesse, devo dire che sono rimasta impressionata, in senso positivo ovviamente, dalla solidità delle proposte descrittive e dall’acume con cui risolvono certi nodi critici che sono connessi con l’analisi grammaticale.


Vorrei in primo luogo mettere in rilievo una scelta specifica che hanno fatto le autrici e che mi pare molto rilevante, oltre che innovativa: di fatto, invertendo quello che è il percorso usuale che viene proposto non solo nel curriculum scolastico, ma anche nella maggior parte delle grammatiche, descrittive o pedagogiche che siano, l’itinerario di riflessione grammaticale che viene proposto parte dall’analisi della frase e dei suoi costituenti, parte cioè dall’alto, diciamo così, e non dal basso, cioè dalle parole, dalle cosiddette “parti del discorso”. A dire il vero, dal momento che il volume di cui stiamo parlando è stato preceduto da quello relativo proprio alle “parole”, non si esclude che le categorie lessicali possano essere già note agli apprendenti, ma questo non impedisce che si possa comunque trattare la frase come un’entità complessa e autosufficiente dal punto vista grammaticale e giungere alla definizione delle parti del discorso attraverso un processo di analisi e di individuazione delle proprietà distribuzionali (oltre che morfologiche) delle parole che la compongono. E infatti, a motivare questo duplice possibile approccio alla questione, le autrici introducono all’interno dei diversi capitoli un paragrafo intitolato appunto Dalla sintassi alla morfologia o viceversa?


L’individuazione della frase come il punto di partenza dell’analisi grammaticale si accompagna a un’altra importante, anzi a mio parere rivoluzionaria (almeno rispetto all’approccio tradizionale) innovazione: i costituenti immediati della frase non sono le singole parole, ma i sintagmi, e sono i sintagmi che si posso ulteriormente analizzare in componenti minori fino alla parole, le unità più piccole dotate di significato (tralasciamo qui la questione che in realtà le parole sono a loro volta formate da morfemi lessicali e grammaticali: ad es. in gatto possiamo individuare il morfema lessicale gatt + e il morfema grammaticale +o, che indica il numero singolare e il genere maschile). Questa scelta è decisiva se si vuole, come si intende fare nel volume, interpretare la frase seguendo la teoria delle valenze, alla cui esposizione e alla cui applicazione didattica sono dedicati i capp. 4-6. Anche se non sono in grado di esprimere un giudizio motivato dal punto di vista della resa didattica delle proposte avanzate, dal momento che non ho esperienza diretta di insegnamento della grammatica nella scuola primaria, credo però che la coerenza, la chiarezza e l’ingegnosità della presentazione dei problemi grammaticali possano stimolare un atteggiamento collaborativo da parte degli alunni, che è la prima condizione perché l’apprendimento sia proficuo.


Sul piano del contenuto dell’analisi proposta, trovo che l’impostazione che viene data all’analisi della frase sia pienamente da sottoscrivere: la scelta di operare non con le parole, ma con i sintagmi, rende molto più semplice e ragionevole, a partire dal perno della frase, cioè il verbo, l’individuazione degli argomenti e degli altri costituenti della frase. Una volta individuati i sintagmi (siano argomenti o meno), diventa relativamente semplice scomporli a loro volta in elementi obbligatori e in quelli che vengono chiamati “arricchimenti” (sono i diversi tipi di modificatori: attributi, apposizioni, altri sintagmi, ecc.). La nozione di arricchimento si può poi estendere all’intera frase che può essere completata con altre informazioni di vario tipo, di tempo, di luogo, ecc. Si tratta di un’impostazione, che pur adattata, attraverso qualche semplificazione necessaria, all’età e alle capacità cognitive dei destinatari dell’insegnamento grammaticale, mantiene il suo rigore e la sua coerenza scientifica. Da questo punto di vista, la teoria delle valenze riceve giustizia rispetto a certe interpretazioni circolanti in ambito scolastico, che pur animate da buone intenzioni, risultano talvolta poco coerenti o danno origine a descrizioni contraddittorie o vaghe, così da caricarla degli stessi difetti che vengono giustamente attribuiti alla grammatica tradizionale.


C’è poi un altro nodo cruciale dell’analisi della frase che le autrici hanno a mio parere affrontato e risolto nel modo più appropriato, che riguarda il rapporto tra il modello valenziale applicato alla struttura frasale (verbo + argomenti) e quello tradizionale che analizza la frase come una struttura predicativa, costituita dal soggetto + il predicato (non approfondisco qui la questione di che cosa si intenda con “predicato”, questione complessa a cui per altro nel volume è dedicato il cap. 7). La questione rilevante è che, mentre nell’approccio valenziale tutti gli argomenti sono sullo stesso livello rispetto al verbo, nella frase intesa come struttura predicativa uno degli argomenti è prominente rispetto agli altri e assume la funzione di soggetto (in questa prospettiva la frase è una struttura esocentrica, in quanto il soggetto e il predicato sono gerarchicamente sullo stesso piano, e il verbo non è il “perno” della frase).


Oggi non mancano grammatiche scolastiche che introducono qualche nozione del modello valenziale, ma solitamente giustappongono l’approccio valenziale a quello tradizionale predicativo, così da presentarli come due modalità contrapposte di descrizione, assumendo implicitamente che i due approcci siano incompatibili. Al contrario, nel volume le autrici propongono delle analisi molto accurate sulle modalità con cui gli argomenti selezionati dal verbo vengono “tradotti” linearmente nella frase, e assumono le loro funzioni grammaticali all’interno della struttura predicativa della frase stessa, distinguendo sulla base delle loro proprietà sintattiche tra il soggetto, l’oggetto diretto e gli argomenti indiretti (i tradizionali “complementi”).


Riservo le ultime osservazioni alle scelte terminologiche qui adottate, questione non irrilevante, visto che in molti punti, come abbiamo visto, ci si distacca dall’impianto grammaticale corrente nella scuola. Direi che ci si è attenuti una duplice opzione, sulla base di un criterio che mi sembra molto ben pensato e ben applicato. Nel caso di nozioni e concetti che costituiscono, per così dire, dei “primi”, cioè dei fondamenti dal punto di vista teorico, si sono mantenuti i termini tecnici coniati dalla teoria: in questo senso i sintagmi, le valenze, gli argomenti ad es. sono rimasti sintagmi, valenze, argomenti, e così via. D’altra parte anche la terminologia della grammatica tradizionale è per così dire “tecnica”: soggetto, predicato, complementi, ecc. non sono termini ordinari, ma dipendono dalla teoria grammaticale: se questi concetti sono diventati familiari grazie al loro utilizzo in ambito scolastico, non c’è ragione per cui anche i nuovi concetti, con i relativi termini, non si diffondano assieme al modello all’interno del quale si sono affermati.


Diversa è la questione per quanto riguarda il discorso metalinguistico che accompagna l’esplorazione delle strutture linguistiche e il ricorso all’introspezione e alla propria competenza linguistica. In questo caso, allo scopo di indirizzare gli alunni a esplicitare contenuti e concetti più complessi, il linguaggio utilizzato è invece non specialistico, e si propongono formulazioni più accattivanti e adeguate all’età degli apprendenti. Per fare solo un paio di esempi, per indicare una frase ben formata dal punto di vista sintattico, ma incongrua dal punto di vista semantico (ad es. Il gatto mangia un frigorifero), la si segnala con la faccina di un pagliaccio e si propone di chiamarla frase “buffa”; per distinguere tra le sequenze di parole che sono frasi e sequenze che non lo sono (anche se sono semanticamente o pragmaticamente interpretabili) si suggerisce di utilizzare le formule “sta in piedi da sola” vs. “non sta in piedi da sola”.


Insomma, per concludere, penso che questo volume, tanto piacevole da leggere quanto ricco di suggerimenti e proposte ingegnose e sempre ben meditate, si rivelerà uno strumento prezioso per quegli insegnanti che vorranno sperimentare nelle loro classi questo metodo di insegnamento della grammatica dell’italiano: sono persuasa che, se sapranno appropriarsi adeguatamente delle conoscenze teoriche e metodologiche che sono i presupposti di qualunque insegnamento grammaticale, ne saranno fortemente gratificati.