Ancora una domanda…

Caro Michele,
ti ringrazio della risposta, generosa e molto articolata. Non so se mi hai convinto del tutto, ma sicuramente fai chiarezza su una serie di questioni, e di chiarezza c’è bisogno. Ad esempio mi pare chiarito abbastanza che per te le “frasi complesse” sono tutte le frasi che contengono più frasi fra loro collegate sul piano grammaticale: o attraverso la subordinazione (La neve si è sciolta perché il föhn ha soffiato tutta la notte), o attraverso la coordinazione (Il föhn ha soffiato tutta la notte e la neve si è sciolta). Se due frasi contigue sono collegate solo sul piano concettuale, e non hanno legami di tipo grammaticale, sono considerate “giustapposte” (Il föhn ha soffiato tutta la notte. La neve si è sciolta). Non siamo più nell’ambito della frase, ma del testo. Fin qui tutto chiaro. Ma alla mia domanda se la sequenza con la virgola (Il föhn ha soffiato tutta la notte, la neve si è sciolta) sia frase o testo, tu obietti che si tratta di una struttura marcata e anzi da evitare. E ti chiedi:

“Perché usare la virgola per separare due enunciati indipendenti? […] Qual è il vantaggio funzionale di una pausa debole tra due enunciati giustapposti? Io, francamente, non riesco a immaginarne uno”.

Io sì: è quello che ho notato più volte nella scrittura letteraria contemporanea, e che trovo documentato da molti studiosi, ad esempio da Angela Ferrari. Nel suo saggio dal titolo, appunto, La virgola (in La punteggiatura italiana contemporanea. Un’analisi comunicativo-testuale, Carocci, 2018), la Ferrari riporta molti esempi in cui scrittori diversi (Calvino, Tabucchi, Ferrante) usano questa virgola inter-enunciato soprattutto per imitare il parlato e renderne il fluire, “senza raggruppamenti e senza gerarchizzazioni” fra gli enunciati. Come fa Antonio Tabucchi in Sostiene Pereira, quando scrive:

Prima di uscire si fermò davanti al ritratto di sua moglie e gli disse: ho trovato un ragazzo che si chiama Monteiro Rossi e ho deciso di assumerlo come collaboratore esterno per fargli fare i necrologi anticipati, credevo che fosse molto sveglio, invece mi pare un po’ imbambolato, potrebbe avere l’età di nostro figlio, se avessimo avuto un figlio, mi assomiglia un po’, gli cade una ciocca di capelli sulla fronte, ti ricordi quando anche a me cadeva una ciocca di capelli sulla fronte?” (cit. da Ferrari, p. 61).

Questo uso che, in quanto letterario, si potrebbe dire che non fa testo, si sta tuttavia rapidamente diffondendo anche in scritture mediamente o poco sorvegliate, quindi, ad esempio, nelle scritture dei nostri ragazzi e in rete. Il problema, per un insegnante (ammetto che per uno studioso è diverso), non è tanto se chiamare sequenze di questo tipo frasi complesse o testi, ma piuttosto se intervenire e correggere. Forse potremmo concordare sul fatto che l’intervento correttivo va calibrato in relazione ai casi. Questo non ci esime dall’obbligo di esplicitare quali siano le variabili di cui tener conto. Certo la formalità del testo; ma forse anche la numerosità, la lunghezza e la connessione concettuale delle frasi giustapposte hanno un loro peso nel determinare l’accettabilità o meno di certi passaggi. Io ad esempio, che sono stata insegnante in praticamente tutti gli ordini di scuola, non mi sarei mai sognata di intervenire su una sequenza del tipo (cambio volutamente esempio): gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva, i centri di accoglienza sono al collasso. Dico di più: avrei potuto scriverla io, una sequenza del genere, e probabilmente ne ho scritte di simili.


Come vedi, ho usato “sequenza” per introdurre il mio esempio, e con questo siamo al secondo problema, che sembra terminologico ma è anche, come sempre, concettuale: se uso le tue categorie, il mio esempio è una sequenza malformata, o almeno marcata, anche se aggiungo un avverbiale anaforico (Gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva, per questo i centri di accoglienza sono al collasso). Ma se sostituisco la virgola con il punto e virgola o con il punto (Gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva; (per questo) i centri di accoglienza sono al collasso) diventa testo; se invece al confine tra le frasi metto una e, diventa frase complessa (Gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva e (per questo) i centri di accoglienza sono al collasso).


Tuttavia nell’esempio che riporti di Battaglia e Pernicone (Il cane è un animale fedele, difende il padrone, custodisce la casa, fa la guardia agli armenti, è indispensabile alla caccia) ammetti che “[…] in casi come questi, la giustapposizione è funzionalmente equivalente alla coordinazione e, in effetti, una congiunzione (ad es. e) compare tipicamente a chiudere la serie di costituenti giustapposti”. Quindi siamo ancora nell’ambito della frase complessa anche in assenza della e (giusto?). E aggiungi “Ciò che rende la giustapposizione strutturalmente e funzionalmente equivalente a una coordinazione è la presenza di una cornice grammaticale unitaria di frase”. In assenza della e a introdurre l’ultima frase, immagino che, in questo caso, la cornice grammaticale unitaria sia data dalla continuità del soggetto, che rimane lo stesso in tutte le frasi giustapposte.


Più problematico per me è l’altro esempio che riporti: Giorgio ha comperato il pane; Piero ha cucinato l’arrosto; Maria ha lavato i piatti. Definisci questa sequenza testo perché non c’è una cornice grammaticale unitaria: penso voglia dire che non c’è la e a introdurre l’ultima frase, non c’è continuità del soggetto. Dunque sarebbe un testo? Per definire testo una sequenza (lo scrivi tu poco sopra) si deve venire a creare una “relazione concettuale tra processi indipendenti”. Mi chiedo, e ti chiedo: qual è il legame concettuale che si viene a creare tra queste tre frasi? Forse il fatto che si tratti di processi legati alla preparazione del cibo e alla cura della casa? E basta questo a farne un testo? Non dovrebbe esserci qualcosa d’altro a collegare e rendere coerente la sequenza, a dare una cornice concettuale esplicita e comune? Ad esempio: Giorgio ha comperato il pane, Piero ha cucinato l’arrosto, Maria ha lavato i piatti: i miei amici sono sempre ospitali ed efficienti. Ricordo l’esempio classico di Maria-Elisabeth Conte (in Introduzione a La linguistica testuale, Feltrinelli, 1981, p. 16), che a proposito di coerenza testuale, discute un esempio molto simile: Tutte le mattine Carla va in piscina. D’inverno, la domenica, Claudia non è mai a casa perché va a sciare. E Giancarlo ha persino vinto una medaglia d’argento a Montreal. Tutti i miei figli sono sportivi. Se non ci fosse l’ultimo enunciato, in un certo senso “riassuntivo, d’ordine superiore ai tre precedenti enunciati… il quale, per così dire, riduce gli altri tre enunciati ad un comun denominatore” (ivi, p. 17), se non ci fosse, appunto, si potrebbe davvero parlare di testo?

Accenno brevemente alla questione punteggiatura, che tu consideri “uno strumento della prosodia”. In particolare scrivi che la virgola “non è una congiunzione, cioè uno strumento di collegamento grammaticale”. Certo. Ma è un “rivelatore di strutture”, come tutto il sistema interpuntivo (Mortara Garavelli, Prontuario di punteggiatura, Laterza 2004, p. 48). Se c’è un punto su cui concordano tutti gli studiosi che si sono occupati di punteggiatura, è precisamente il fatto di riconoscere ai segni di interpunzione varie funzioni, e non solo quella prosodica. I diversi segni sono certo istruzioni date al lettore, cui suggeriscono le pause, più o meno lunghe, necessarie al ritmo della respirazione. Ma sono anche, e sempre più da quando la lettura individuale e silenziosa ha preso il sopravvento sulla lettura ad alta voce, “indicazioni sulla struttura frasale e sulle connessioni tra le frasi sulla base delle regolarità sintattiche” (ivi, p. 49). Se questo è vero, ed io credo sia vero, che cosa c’è di sbagliato o inopportuno nella frase Il föhn ha soffiato tutta la notte, quindi la neve si è sciolta? Non è una legittima indicazione data al lettore che qui ci sono due frasi, che rappresentano due processi, separati, certo, ma strettamente connessi essendo il secondo la conseguenza del primo? È questa la ragione per cui frasi di questo tipo sono state considerate delle strutture coordinate. Ed è il motivo per cui molti insegnanti continuano a considerarle tali.


E qui mi fermo. Non so se queste discussioni appassionino gli insegnanti come, evidentemente, appassionano noi. Ma di una cosa sono convinta: fintanto che una questione grammaticale suscita perplessità e dubbi, non è matura per essere portata in classe. Nel caso specifico, in attesa che i teorici vadano avanti nelle loro investigazioni, io, se fossi insegnante, adotterei uno schema semplificato che forse non ti piacerà: una frase complessa (chiaramente parliamo di testi scritti) va da un punto fermo all’altro punto fermo; al suo interno le frasi possono essere coordinate, subordinate e giustapposte. Più frasi che si susseguono, separate da punti fermi, se coerenti (sul piano concettuale) e coese (sul piano grammaticale) costituiscono un testo. Metterei tra i mezzi grammaticali della coesione soprattutto l’anafora, nelle sue diverse forme. E discuterei con i ragazzi (i più grandi, però) per verificare con loro se l’impalcatura tiene, e fino a che punto.
Grazie.


Un grazie anche a Salvatore Sgroi per il suo commento. Quanto al testo di Prandi di cui non ho indicato la fonte, si tratta del testo non pubblicato di una lezione agli insegnanti del Molise, che Prandi ha generosamente diffuso fra il Giscel Veneto.