Tre problemi, tre ipotesi di soluzione

Michele Prandi risponde alla domanda di Maria G. Lo Duca che potete leggere qui.

Il punto più interessante della tua domanda è l’uso della virgola per separare con una pausa debole sequenze anche lunghe di enunciati indipendenti. Effettivamente, non avevo messo a fuoco il valore ampiamente documentato di questa particolare struttura marcata. Tra l’altro, mi sono ricordato di un esempio famosissimo, che ho spesso citato, di Manzoni:

Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli, e poi quelli di Ferrari; passa Altringer, passa Furstenberg, passa Colloredo; passano i Croati, passa Torquato Conti, passano altri e altri; quando piacque al cielo passò anche Galasso, che fu l’ultimo.

Il primo enunciato si estende da passano a Ferrari: la sequenza giustapposta è chiusa dalla doppia coordinazione che sospende la ripetizione del predicato (e poi) e unifica la precedente giustapposizione in una struttura sintattica. Gli enunciati successivi si dispongono in tre blocchi prosodici separati da un punto e virgola e scanditi all’interno da una virgola. Il gioco tra la ripetizione del predicato e la sua sospensione, tra la giustapposizione e la coordinazione, e l’alternanza sapiente di virgole e punti e virgola, creano un ritmo, fatto di improvvise accelerazioni e rallentamenti, che mima il ritmo del passaggio incessante e ineguale delle truppe visto dagli spettatori inermi e passivi. Di fronte a esempi come questo e quelli che tu citi, non si può non riconoscere una funzionalità della pausa breve e della virgola tra enunciati indipendenti. Tuttavia, occorre fare una precisazione di metodo.


Quando si parla di funzioni delle forme linguistiche, bisogna distinguere due tipi non commensurabili: ci sono funzioni codificate, che attivano sistematicamente un valore ogni volta che una forma è usata, e funzioni non codificate, che attivano un valore imprevedibile solo all’interno di un testo contingente. La funzione della dislocazione – tematizzare un costituente diverso dal soggetto – appartiene al primo tipo; la funzione di una figura come la ripetizione, viceversa, appartiene al secondo. Nel testo di Manzoni, ad esempio, possiamo cercare di identificare una funzione della ripetizione, che però non è sistematica ed esportabile dal singolo testo. Se ora passiamo alla punteggiatura, la funzione di un segno di interpunzione forte all’interno dell’enunciato – creare unità comunicative marcate – rientra certamente nel primo tipo. La funzione della virgola come separazione debole tra enunciati indipendenti sul piano grammaticale mi sembra invece che rientri nel secondo: la pausa breve fonde i diversi enunciati in un flusso continuo, ma qual è la funzione – l’effetto – di questa scelta? La risposta può essere trovata solo in un testo particolare. Non a caso, gli esempi citati sono forme di valorizzazione letteraria.


Ovviamente, una struttura marcata che ha una funzione testuale contingente non è una struttura malformata, e quindi un errore: semplicemente, è una scelta fatta sotto la responsabilità del parlante che presuppone un progetto espressivo o stilistico. Quindi, il problema pedagogico non è correggere le forme marcate, ma educare alla consapevolezza di come queste strutture non siano neutre: sono armi a doppio taglio, che possono essere usate in modo creativo, ma anche produrre un effetto di trascuratezza. C’è la ripetizione di Manzoni, e c’è la ripetizione indice di sciatteria. Lo stesso vale per la punteggiatura marcata. Non so come reagirebbe un insegnante di fronte a un tema scritto come il testo di Tabucchi: potrebbe magari spingersi a chiedere chiarimenti all’alunno sulle sue reali intenzioni, ammesso che ci siano. Le funzioni codificate rientrano nella competenza di base, che possiamo migliorare ma che è richiesta a un parlante. L’accessibilità delle funzioni attivate in modo contingente nel testo è proporzionale alla consapevolezza e alla capacità di progettare effetti stilistici, e chi le usa si espone alla lode o al biasimo. Ovviamente l’effetto stilistico è minimo, praticamente impercettibile, se si collegano con una virgola due enunciati, come nell’esempio citato Gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva, i centri di accoglienza sono al collasso. È dirompente, e dichiaratamente voluto, in passi come quello di Tabucchi.


L’altro punto in discussione è, di nuovo, il confine tra frase e testo e il problema della coerenza. Faccio una premessa di metodo: la marcatezza presuppone l’autonomia reciproca dei fattori in gioco. La struttura sintattica – l’enunciato – e la struttura prosodica – l’unità comunicativa – sono autonome; come tali possono sovrapporsi o entrare in conflitto. Se questo è vero, non sarà un punto e virgola al posto di una virgola a trasformare una frase in un testo. Scrivi: «Ma se sostituisco la virgola con il punto e virgola o con il punto (gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva; (per questo) i centri di accoglienza sono al collasso) diventa testo; se invece al confine tra le frasi metto una e, diventa frase complessa (gli sbarchi di immigrati aumentano nella stagione estiva e (per questo) i centri di accoglienza sono al collasso)». Concordo che la sequenza diventa una frase complessa se l’ultima frase è preceduta da una e; ribadisco che non diventa un testo grazie al segno di interpunzione forte perché lo era già in presenza della virgola. La pausa debole è una scelta marcata proprio perché avvicina due enunciati grammaticalmente indipendenti. L’esempio che cito da Battaglia e Pernicone, invece, è effettivamente una frase perché c’è un soggetto seguito da più predicati: c’è quindi la cornice strutturale unitaria di una frase.


Un problema indipendente è se una sequenza di enunciati giustapposti come Giorgio ha comperato il pane; Piero ha cucinato l’arrosto; Maria ha lavato i piatti sia un testo. Rispondo: lo è se ammette un’interpretazione coerente. La cornice unitaria che fa di una sequenza di enunciati un testo è la sua coerenza. La coerenza, a sua volta, è una proprietà contingente della relazione tra i contenuti di una sequenza di enunciati, che non rimanda a una grammatica, ma si valuta nel caso particolare: i diversi enunciati entrano in un progetto comunicativo comune, che è una proprietà contingente. L’esempio che citi di M. E. Conte è significativo: senza l’ultimo enunciato, non avremmo un testo ma una lista; l’ultimo enunciato ristruttura il campo e attribuisce un valore di testo coerente alla sequenza. Se il mio esempio è un testo, il dato I miei amici sono sempre ospitali ed efficienti o un dato equivalente, non è enunciato perché condiviso nella situazione contingente: M. E. Conte parla a questo proposito di una coerenza a parte subiecti, legata a un lavoro di inferenza del destinatario. Ma il punto è un altro: non è detto che una giustapposizione formi un testo; ma il testo è l’unica struttura unitaria che è in grado di formare, a condizione che la coerenza sia rispettata.


Riprendo in sintesi il problema del rapporto tra frase, testo e punteggiatura. Nella frase Il föhn ha soffiato tutta la notte, quindi la neve si è sciolta non c’è niente di inopportuno. La virgola avvicina certamente sul piano comunicativo due contenuti di enunciati indipendenti, ma questo non implica che i due enunciati siano coordinati in una struttura grammaticale unitaria. Insomma, viva le strutture marcate, che dissociano punteggiatura/prosodia e sintassi, purché siamo consapevoli di quali siano le loro funzioni, e senza dimenticare che parlare di associazioni marcate tra unità comunicative ed enunciati presuppone che le due realtà siano indipendenti. I segni di punteggiatura sono segnali; possono assumere diversi valori, non solo prosodici, ma non hanno valore grammaticale di congiunzioni. Interagiscono con le connessioni grammaticali indipendenti in modo non marcato o marcato, in questo caso con effetti non sempre prevedibili e qualche volta creativi; tuttavia, non creano connessioni grammaticali.

Per concludere, credo che nella didattica occorra seguire, nell’affrontare questo genere di problemi, una progressione logica:
– abituare a riconoscere le strutture non marcate, che sono il fondamento, e che sono funzionali in assenza di ragioni specifiche;
– educare alla consapevolezza del valore delle strutture marcate con una funzione codificata, sistematica e prevedibile: per esempio i mezzi della prospettiva comunicativa marcata, come le dislocazioni, e i segni di punteggiatura che li accompagnano (per esempio l’uso della virgola per separare il costituente dislocato, che magari è un soggetto, dal corpo della frase);
– gradualmente, educare alla consapevolezza delle strutture marcate il cui valore prende forma nel singolo uso e nel singolo testo, i cui effetti devono essere padroneggiati con sicurezza perché il confine fra raffinatezza stilistica e trascuratezza è molto sottile. Insomma, se uno non punta a effetti particolari dei quali è consapevoli, separare enunciati indipendenti con un segno di interpunzione forte è sempre una strada sicura.