Un italiano accogliente. Una recensione

Recensione a F. Sabatini, Un italiano accogliente. Dialogo con Cristiana de Santis, Il Mulino, 2024

“L’italiano accogliente di un italiano accogliente” (p. 105) è il passo da cui poi è stato ripreso il titolo di questo appassionante volumetto: un dialogo serrato tra il grandissimo maestro Francesco Sabatini, già docente ordinario a Roma e presidente onorario della Crusca, e la sua “discepola occasionalmente acquisita” Cristiana de Santis, docente ordinaria a Bologna, la quale, senza esserne allieva diretta, ad un certo punto gli si è affiancata (assieme a Carmela Camodeca) nella divulgazione del modello della grammatica valenziale, oggi finalmente vincente grazie a quella decisa, seppure “gentile ostinazione” di questo affiatatissimo trio di linguisti. Nessuno dunque meglio di lei, amica più che allieva, avrebbe potuto porre domande più stimolanti per far sgorgare il racconto di una vita spesa per la lingua, in una felice sintesi tra pubblico e privato.

L’aggettivo accogliente descrive, nello stesso tempo, la personalità di Francesco Sabatini, linguista estremamente generoso nel divulgare a tutti le proprie conoscenze, e la lingua italiana da lui proposta: mai normativa, ma elastica, funzionale, comunicativa e capace di accogliere apporti di altre lingue e altre culture senza snaturarsi.

Nel primo capitolo Come nasce un linguista, Sabatini racconta la sua famiglia e gli esordi: figlio di un padre medico, ma anche appassionatissimo bibliofilo e studioso di storia locale, Francesco è cresciuto tra Roma e Pescocostanzo, cittadina abruzzese, in un palazzo pieno di libri, al punto da potersi laureare con una tesi condotta su due canzonieri autografi cinquecenteschi trovati nella propria biblioteca. Ha proseguito poi con studi filologici e linguistici incentrati in particolare su documenti linguisticamente importanti, dal volgare nascente della Catacomba di Camodilla alla lingua lombardesca, gergo di mestiere dei muratori di Pescocostanzo, per arrivare alla monumentale storia linguistica della Napoli angioina che lo ha portato a diventare ordinario, lavorando con i principali docenti universitari che nella seconda metà del Novecento fondavano la nuova disciplina della Storia della lingua italiana (Schiaffini, Contini, Migliorini, Nencioni, Terracini, Segre, Corti…).

Nonostante l’origine privilegiata e la finezza intellettuale, Francesco non è mai stato un Pierino, ma, piuttosto – come si definisce lui stesso – “un montanaro abruzzese … che va per le montagne a esplorare sentieri nuovi” (p. 31): lo testimonia il suo interesse per l’emergere della dimensione del parlato quotidiano, da quel primo parlato volgare che si distaccò dal latino alle origini della storia dell’italiano, fino all’ “italiano dell’uso medio” di cui ha individuato precocemente le caratteristiche in un articolo del 1985. Sabatini è stato infatti il primo a identificare alcuni di quei tratti che – poco a poco e con fatica – sono emersi da una lingua prevalentemente scritta ed altamente codificata su modelli antichi qual era stato l’italiano fino alla prima metà del Novecento, per caratterizzare il nuovo italiano parlato. E ha dimostrato che molti di essi esistevano anche nell’italiano antico, riaffiorando periodicamente anche nei testi letterari, fino a Manzoni, che diede cittadinanza ad alcuni di loro (si pensi all’alternanza tra egli/ lui). Il capitolo 2, Sulle tracce del parlato, porta dunque direttamente ai Nuovi sentieri per la scuola del capitolo 3. Sabatini, infatti, si è dedicato instancabilmente alla trasmissione delle nuove scoperte scientifiche al mondo della scuola, sia visitando le scuole dell’intero Paese per parlare con docenti e studenti, sia attraverso le sue numerose e sempre visionarie grammatiche, dove per la prima volta riceveva ampio spazio la dimensione della variabilità linguistica (in senso diacronico e sincronico) e dove si è fatto strada – progressivamente – un nuovo modello di analisi che potesse sostituire quello molto carente dell’analisi logica: la grammatica valenziale, che dà un ruolo chiave al verbo e alla frase, permettendo agli studenti di riconoscerne la gerarchia attraverso i grafici radiali colorati, inventati proprio da Sabatini e poi copiati e adattati da tanti altri autori di manuali scolastici (per una meditata sintesi sulla divulgazione del modello e sui rapporti con le neuroscienze si veda ora l’articolo di De Santis, Bambini 2019).

Al modello della valenza si rifà anche il Dizionario noto come DISC, pubblicato dallo studioso con la collaborazione di Vittorio Coletti e di altri (tra cui Maria G. Lo Duca e Patrizia Cordin) nel 1997, poi rivisto fino al 2012 (cap. VI La valenza delle parole) nel quale, per la prima volta, i verbi sono stati etichettati secondo le diverse strutture argomentali che possono presentare. Al modello valenziale, che analizza la lingua come un sistema, si aggancia anche la nuova tipologia testuale proposta da Sabatini già a fine anni ‘90 e poi sistematizzata in Sabatini, Camodeca 2022, fondata sul vincolo interpretativo tra autore e lettore. Vi sono infatti testi rigidi, in cui chi scrive vuole essere inteso alla lettera da chi legge e quindi si tiene il più aderente possibile agli elementi del sistema (ordine lineare della frase, presenza di tutti gli argomenti richiesti dal verbo, punteggiatura canonica…), come i testi giuridici o saggi di scienze dure, e testi elastici, in primis quelli letterari, in cui invece a una maggior libertà di interpretazione corrispondono tratti linguistici meno vincolati (omissioni di valenze, punteggiatura meno standard, lessico più metaforico e connotato ecc.). Nel mezzo, una ricca varietà di testi misti. Ma su questo tema si veda la recensione di Corrà in questo blog.

Vincere le resistenze degli insegnanti e di tanti italiani (tendenzialmente un po’ puristi) verso una visione più scientifica e moderna della lingua ha comportato una strenua opera di divulgazione, compiuta dal nostro attraverso tutti i mezzi possibili: in TV (si pensi al Pronto soccorso linguistico su Rai 1 durato ben 18 anni), in radio, su YouTube e nelle migliaia di conferenze in presenza, in virtù di quel suo saper “parlare facile”, capace di “arrivare alla testa e al cuore del grande pubblico” (C.D.S. p. 64). Il capitolo VII (Oltre vent’ anni da Ventilato in Crusca) ci racconta quindi dell’ingresso di Sabatini nella prestigiosa Accademia della Crusca con il nome di Ventilato , davvero profetico per il forte spirito di innovazione che lo studioso avrebbe portato al suo interno: l’apertura precoce alla linguistica dei corpora, ai nuovi media, e l’istituzione di giornate come la Piazza delle lingue d’Europa e del Dantedì, espressione che diventa felice sintesi di un rapporto meditato ed equilibrato con l’inglese, mai vituperato, ma neppure accettato passivamente.

Francesco Sabatini (accademico dal 23 maggio 1988)

L’aura mi volve, et son pur quel ch’i’ m’era.

L’immagine presenta in primo piano un contadino che alza una pala piena di grano affinché il vento ne rimuova la pula. Sullo sfondo è riconoscibile un paesaggio delle montagne abruzzesi (con il paese di Pescocostanzo, luogo natale dell’accademico).

Dal sito: https://accademiadellacrusca.it/it/pale/ventilato/159

Il capitolo VIII, infine, Seminagioni, dopo aver approfondito il giallo di alcuni preziosi libri di famiglia, trafugati dall’esercito tedesco durante l’occupazione del palazzo nella seconda guerra mondiale e poi recuperati in tempi recenti, si sofferma sul fiorire di alcuni dei tanti semi piantati da Sabatini, in senso fisico (il Bosco della Difesa di Pescasseroli in Abruzzo), ma soprattutto metaforico, con i suoi allievi disseminati nelle diverse università italiane: Vittorio Coletti, Paolo D’Achille, Rosario Coluccio, Nicola de Blasi, Domenico Proietti.

Concludono il volume alcune splendide pagine di riflessioni sulla lingua di cui riportiamo un breve assaggio, che valga da viatico per tutti gli insegnanti di lingua, con un sentitissimo ringraziamento a Francesco, per la sua opera intera, e a Cristiana, per la straordinaria sensibilità e capacità di dialogo.

C.S: “Avere una lingua, ma anche essere avuti da lei”: è una frase di Mario Luzi che spesso richiami.
F. S.: Il rapporto del singolo con la propria lingua credo che anche nella persona più semplice, meno acculturata, si avverta come qualcosa di problematico e allo stesso tempo sempre presente. Ricordo qualche espressione di contadini che riflettevano sulla lingua “Ce l’ho qui, ce l’ho qui e non lo riesco a dire”. Significa che si percepisce che c’è in noi la lingua e che è un qualcosa di particolare, che ti aiuta o ti ostacola. E ciò conferma che, non solo per i linguisti e i pensatori, la lingua è qualcosa di profondissimo, di radicato. Esprime te stesso, le radici pescano nel tuo essere e non solo nel tuo pensiero […]. Pesca nel tuo corpo e ne trae pensieri costruiti, fremiti della mente. E poi, quando noi insegniamo – perché il nostro pensiero è questo – cerchiamo di far capire che abbiamo questo strumento, che questa facoltà è in noi, anche attraverso spiegazioni, definizioni, esempi …