Dai barconi all’università. Percorsi di inclusione linguistica per minori non accompagnati

“Chi ha detto che le farfalle non attraversano il vento?
Chi ha detto che le farfalle non attraversano il mare?”
(da Butterfly trip)

In un blog come il nostro che si ispira ai principi dell’educazione linguistica democratica merita senza dubbio una segnalazione un libro uscito nel 2015 ma non ancora abbastanza conosciuto, almeno nel nord Italia. Si tratta del volume di Marcello Amoruso, Mari D’Agostino e Yousif Latif Jaralla (a cura di), DAI BARCONI ALL’UNIVERSITÀ. Percorsi di inclusione linguistica per minori stranieri non accompagnati, Scuola di Lingua italiana per Stranieri Università di Palermo, 2015, pp. 336.

Dai barconi all’università, non in commercio, ma trasferito in gran parte nel blog https://minorinonaccompagnatialluniversita.wordpress.com/dentro-la-classe/, racconta l’esperienza di integrazione di minori stranieri non accompagnati (d’ora in poi msna) all’interno della summer school di italiano L2 che si tiene nell’ex Convento di Sant’Antonino a Palermo, normalmente destinata a studenti ad alta scolarizzazione come Erasmus, Marco Polo, visiting professor o comunque studenti provenienti da tutto il mondo per conoscere la lingua e la cultura italiana. La richiesta da parte del Comune nel 2012 di inserire i msna nei loro corsi durante i mesi estivi non solo è stata accolta, ma è diventata occasione di una nuova progettazione didattica e di ricerca attiva.

L’inserimento di ragazzi provenienti da Paesi come Egitto, Africa subsahariana o Bangladesh, a bassa o talvolta nulla scolarizzazione, all’interno di corsi pensati invece per studenti con una scolarizzazione alta, non poteva non costituire una sfida, sfida che però sempre di più si sta allargando, e non solo ai CPIA e alle tante associazioni e cooperative che si dedicano specificatamente ai nuovi migranti, ma oggi anche alle scuole pubbliche e ai nostri Atenei, sempre più interessati a progetti di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. E che sarà la sfida della nostra società futura, dal momento che gli attuali migranti provengono spesso da aree poverissime o devastate dalle guerre, con percentuali di analfabetismo ancora molto elevate e comunque nelle quali la scolarizzazione è decisamente inferiore rispetto a quella europea.

La prima parte del libro (La lingua, luogo di incontro) è dedicata alla descrizione dell’ambiente di lavoro (l’ex Convento con la sua ricca storia) e alle caratteristiche dei msna. La seconda invece, Metodi, incontri, saperi, entra nel vivo della questione della lingua e della didattica: la sezione 1, Dentro le classi, giovani con punti di forza diversi, si sofferma sulle differenze tra gli apprendenti ad alta scolarizzazione e i ragazzi arrivati con i barconi. Come racconta Marcello Amoruso, nelle classi avveniva infatti “un incontro improbabile e strano […]: tra i banchi dell’università, giovani migranti senza genitori, in fuga spesso da drammi collettivi o individuali, da quotidianità … conflittuali, poco appaganti e miseramente progettabili, e però ricchi e di futuri desiderati e di coraggiose esperienze di vita vera, incontravano universitari istruiti, ricchi di libri, di studi, di viaggi in ricerca di nuovi stimoli da spendere altrove” (pp. 18-19). La scommessa è stata però quella di non leggere tale eterogeneità in modo negativo, come un problema, ma piuttosto di puntare a trovare elementi di contatto tra le diverse tipologie di apprendenti, per creare classi in cui ciascuno si sentisse valorizzato e a proprio agio. (Amoruso, Mesi).

I msna rivelano lacune pesanti nella literacy ossia nella capacità di leggere e comprendere testi scritti e di riflessione metalinguistica, facendo fatica non solo a riconoscere le parti del discorso, ma anche a discriminare i confini di parola, il che li ostacola ad esempio nel notare le forme – operazione fondamentale per apprenderle – e nel riconoscere i propri errori anche di fronte ad un esplicito feedback correttivo ricevuto dall’insegnante (Amoruso, pp. 24-25). D’altro lato però – se opportunamente stimolati – possono essere altamente motivati, curiosi, traboccanti di energia positiva. I ragazzi provenienti dall’Africa subsahariana inoltre, che sono i più numerosi, conoscono, oltre alle lingue coloniali (per lo più l’inglese), molte lingue locali e riescono facilmente ad aiutarsi tra di loro servendosi del plurilinguismo, risorsa che in parte compensa le difficoltà dovute alla scarsa alfabetizzazione.

Per creare un luogo di incontro arricchente per tutti, la didattica della scuola andava quindi ripensata e il progetto ha conosciuto diverse fasi, ben descritte nel libro, sviluppandosi mano a mano che si mettevano a fuoco caratteristiche e bisogni dei nuovi apprendenti anche con l’aiuto del CPIA 1 di Palermo. Molto interessante ad esempio il capitolo di Monica Rizzo Cos’hanno in comune una ragazza cinese e un ragazzo africano? che descrive un corso riservato ad un piccolo numero di msna maschi e di altrettante ragazze cinesi del progetto “Marco Polo”. In queste pagine, si riconosce nella giovane età, nella curiosità ed apertura ad un mondo culturalmente molto diverso per tutti e nella passione per la tecnologia una sostanziale comunanza anche tra due tipologie di apprendenti che non potrebbero sembrare più diverse. I cinesi “Marco Polo” rappresentano infatti un prototipo di apprendente quasi all’opposto rispetto ai msna: bravi in genere a scrivere e nella grammatica, i cinesi sono invece più in difficoltà con la comunicazione orale e con le attività più comunicative. Lavorando tuttavia in coppie miste, attraverso il peer tutoring, i punti di forza degli uni venivano valorizzati per aiutare gli altri (p. 84).

Nella sezione 2 il libro si apre ad una questione più ampia ed estremamente attuale: l’apprendimento di una seconda lingua in soggetti a bassa scolarizzazione. In Alfabetizzazione, un vecchio problema e una nuova sfida Adele Pellitteri affronta la questione dell’analfabetismo di oggi, ricordando come ci siano profili molto diversi tra i cosiddetti analfabeti: dall’analfabeta totale anche nella lingua madre, all’apprendente scolarizzato solo in una lingua con altro alfabeto (arabo, cinese…), all’apprendente con pochi anni di scolarità e quindi analfabeta funzionale. Si parla quindi della Not o della Low Educated Second Language and Literacy Acquisition come di uno dei settori più interessanti della ricerca scientifica di oggi, proponendo anche una ricca bibliografia di avviamento al tema. Fabrizio Leto ed Eleonora Palmisano descrivono poi in concreto la prima fase dell’alfabetizzazione dei msna (distinta in tre diversi livelli: prima alfabetizzazione, alfabetizzazione intermedia ed avanzata), e presentano esempi delle attività proposte in ciascuno di essi. I ragazzi, sottoposti ad un colloquio e ad un test di entrata appositamente creato (p. 137), venivano assegnati ad un certo livello di alfabetizzazione, dopo il quale potevano essere inseriti nei corsi A1 con gli apprendenti scolarizzati, in corsi che si concentravano soprattutto sull’oralità, abilità nella quale erano in genere più avanzati degli altri. Venivano inoltre affiancati da giovani tutor del corso di laurea in Mediazione linguistica che nella sezione 3 del libro raccontano con entusiasmo la loro esperienza: il timore iniziale nell’accostarsi ad apprendenti immaginati come estremamente fragili e distanti veniva rapidamente sostituito da empatia e progressiva riscoperta di sé nell’altro.

La terza parte infine, Raccontare, non raccontare, L’isola che (non) c’è, è dedicata alle esperienze di narrazione di sé e al teatro. Non bastava infatti – si racconta nell’introduzione (p. 38) – offrire ai msna accoglienza attraverso corsi di lingua, una comunità dove vivere ed un permesso di soggiorno ed attività utili per immergersi nel territorio e nella vita sociale (sport, volontariato, visite…); bisognava anche aiutarli a compiere un cammino di “immersione nel sé” che permettesse loro di reimpadronirsi della propria storia, raccontandola in un ambiente empatico e protetto, e di contaminare gli altri con le loro biografie. A questo scopo serviva il laboratorio “Narrazione e teatro” – le cui preziose immagini sono confluite in una mostra fotografia (A-tratti, di Antonio Gervasi) di cui resta ampia testimonianza nel libro e nel blog . Nel laboratorio, i ragazzi raccontavano gli uni agli altri le loro storie, poi trasformate e confluite nello spettacolo teatrale, Butterfly trip, del regista iracheno Youssif Latif Jaralla, il quale, nel capitolo Battiti di ali. Nel silenzio di una stanza, conclude poeticamente la narrazione.

Nel complesso, ci pare un libro altamente formativo, sia per insegnanti che desiderino approfondire tematiche legate all’alfabetizzazione e ad una didattica capace di rispettare e valorizzare le diverse competenze, sia per giovani in formazione che potrebbero appassionarsi a questa nuova sfida, sia infine per tutti coloro che vogliano conoscere più da vicino dei giovani di cui si parla tanto ma senza sapere veramente chi siano.