Qualche domanda sulla scrittura e una prova di immaginazione. Parte 2

Nella prima parte dell’intervento mi ero chiesto Da dove cominciare? per avviare gli studenti più giovani a scrivere. Avevo sostenuto che per far scrivere è necessario far parlare dal momento che dal parlare consapevole e ripensato, decentrato e attento all’interlocutore, nasce la parola che si scopre nella sua pienezza e nella sua ‘potenza’.

In questa seconda parte proverò a indicare una delle strade da prendere per cominciare e far cominciare. Quella che propongo è una prova di immaginazione dal momento che i due percorsi che indicherò potranno sembrare lontani da prassi e pratiche in uso; ardue fantasie. Eppure hanno dimostrato efficacia e forza in ogni grado di scuola, e in diversi contesti.

Ultima avvertenza. Alla fine della prima parte del testo avevo portato un breve testo di riflessione di uno ‘scrittore esperto’. Tanti anni fa pensavo (ma continuo a pensarlo anche oggi) che dal vedere come fanno gli altri – più esperti di noi – si può imparare qualcosa del mestiere.
Sui due brevi testi che riporto qui possono riflettere gli insegnanti innanzitutto, ma credo che anche giovani studenti possano trarre spunti di riflessione dalla lettura, e magari prendere qualche idea da mettere in pratica.

Per immaginare si deve cominciare da lontano. Copiare, copiare e ancora copiare.

Penso che uno dei primi passi sia quello del copiare. Questa attività non è sempre stata ben compresa dagli insegnanti: il verbo porta con sé un alone di significato non sempre positivo. Tutti ricordano le censure di tanti insegnanti per testi copiati, per compiti mal gestiti. Eppure, a guardar bene, copiare risulta una delle più complesse e difficili attività dello scrivere, ma non solo dello scrivere.

Recuperare questa attività spinge a inventare tanti, diversi e utili esercizi. Pagine scritte da altri permettono di ritrovare la parola, costringono a riscoprirla, invitano a riflettere sul suo significato.

A. Copiare ha due facce: quella della copiatura vera e propria, della riproduzione fedele di una pagina, breve o lunga che sia (e metto tra parentesi il copiare elementare dei primi mesi di scuola), e quella della riscrittura per riempimento o cloze che può e deve essere graduata con attenzione.

E quindi. In questo percorso i primi passi sono quelli che partono da qualcosa che c’è già. Da pagine che si copiano, da pagine che devono diventare di chi le copia. Naturalmente i primi momenti di questa attività hanno bisogno di essere graduati nelle forme, nella quantità, nella qualità. Piccole e brevi pagine che contengano ognuna piccole storie, storie concluse, storie conosciute o facilmente riconoscibili nei personaggi e nei loro sviluppi. Gli autori e i testi non mancano: penso ad alcune brevi storie di Gianni Rodari; penso ad alcune sue filastrocche o ad alcune sue ingenue poesie; penso a Malerba e ad alcune sue freddure; penso a Lodi. Ma penso anche ai tanti autori che hanno insegnato ai bambini a giocare con la lingua e con le parole. Penso ai giochi di Ersilia Zamponi e ai Draghi locopei. Ma penso anche ad alcuni scrittori dai quali trarre alcuni brani con un senso (pezzi o frammenti di una pagina), ma con una lunghezza adeguata, da decidere volta per volta. Oggi si leggono e si fruiscono preferibilmente pagine brevi e secche. Per non parlare dello spazio che si può dare, per attività di questi tipo, a brevi poesie descrittive, ma non solo descrittive. I ‘modelli’ non mancano.

B. Il cloze. Accanto a brevi testi d’autore o a brevi brani tagliati qua e là, quella dei cloze è esercizio quanto mai prezioso e interessante.

Non mi pare così complicato da costruire. Naturalmente la prima cosa da fare è prestare molta attenzione a dove e a che cosa si buca. Ma qui è possibile operare in tanti modi e con tanti e diversi obiettivi. Si possono aprire buchi seguendo logiche diverse: ad esempio, togliere parole chiave in un testo, o scegliere di togliere elementi della stessa natura: solo preposizioni o solo avverbi. Oppure verbi dando eventualmente più opzioni in fila tra le quali scegliere.

La costruzione di un cloze può essere fatta autonomamente dall’insegnante: è un esercizio che – tra l’altro – mette alla prova chi lo costruisce. Dà risposte immediate circa gli effetti e i risultati, e dà la misura della propria maestria. I testi di partenza sono sempre quelli citati: una breve storia di Rodari, una breve cronaca di scuola fatta magari da un compagno di classe.

Il cloze ha il grande vantaggio di saggiare più abilità: quella semantico-lessicale, vale a dire la capacità di scegliere tra parole vicine nel significato quella che meglio si accorda col contesto. O la competenza di comprensione che chiama in causa la logica e la coerenza. Ma anche la capacità di immaginare che può provocare il piacere di creare – magari inconsapevolmente – rapporti nuovi e inusitati tra parole e insieme mondi nuovi.

Chi ha riflettuto sullo scrivere proprio, sul processo prima ancora che sul prodotto, ha detto delle difficoltà di questa attività, ma anche della sua importanza e della sua ricchezza ai fini della conoscenza di sé e del mondo.

Due pensieri sullo scrivere di ‘scrittori esperti’.


… il mio mestiere quotidiano mi ha insegnato (e continua ad insegnarmi) molte cose di cui uno scrittore ha bisogno. Mi ha educato alla concretezza e alla precisione, all’abitudine di “pesare” ogni parola con lo scrupolo di chi esegue un’analisi quantitativa; soprattutto, mi ha abituato a quello stato d’animo che suole chiamarsi obiettività: vale a dire, al riconoscimento della dignità intrinseca non solo delle persone, ma anche delle cose, alla loro verità, che occorre riconoscere e non distorcere, se non si vuole cadere nel generico, nel vuoto, nel falso.
(Dalla Presentazione de La tregua di Primo Levi).

In questa bella pagina Luigi Meneghello dà l’idea – illuminante e sintetica – dei rapporti tra il parlato e lo scritto.


… Qui vorrei dire qualcosa sui rapporti tra il parlato e lo scritto. Per me personalmente il parlato si associa con la naturalezza, l’immediatezza, la spontaneità. Nel complesso mi è sempre stato relativamente facile parlare, me ne vergogno un po’, ma è così: parlare, nel senso di generare non solo stringhe di parole, ma stringhe di pensieri in forma parlata. E’ come se ci fosse un fondo di idee e sentimenti ‘naturali’ al quale posso attingere direttamente, senza stare a pensarci su. Invece lo scritto ha a che fare per me con la scelta, la ricerca, la fatica. Naturalmente quando poi si arriva a ciò che si cerca (cioè si sente che si è toccata la zona giusta, e l’oggetto quasi si vede) le cose cambiano, la mente che scrive trova le parole con la semplicità e la facilità con cui si parla, voglio dire con cui abitualmente parla uno che parla facilmente. Ma per arrivare a quei momenti di grazia, spesso ce ne vuole di pentimenti, e sgorbiature!

C’è ancora, almeno per me, una strana funzione dello scrivere: mi pare un ottimo mezzo per difendersi dall’eccesso delle comunicazioni specialmente parlate a cui si è esposti, la marea della pubblicità, il chiasso, il troppo e il vano nel quale ci troviamo immersi. Scrivendo ho l’impressione di usare un filtro, o forse si tratta di un altro tipo di aggeggio, che mi dà il senso di non dover gridare tra gente che grida. È così che scrivere, per me, è quasi per definizione scrivere poco, o piuttosto scrivere sempre ma concludere poco e di rado. In pratica, cercare qualcosa che forse non c’è, cancellare molto, fare e rifare le pagine, e far passare alla fine solo quelle che paiono un po’ meno sbagliate, un po’ meno goffe o vacue o sguaiate…