Fare l’analisi grammaticale: forza e debolezza di una pratica tradizionale

Come insegnante di italiano, mi sono spesso chiesta quali siano l’utilità e la reale efficacia dell’analisi grammaticale. C’è qualcosa di potente nell’analizzare parola per parola i termini che compongono una frase, oppure questa pratica sopravvive con una certa vitalità nel mondo della scuola solo per comodità?

Inizierò dicendo che, nonostante i dubbi che ogni tanto mi attraversano, io continuo a proporre l’esercizio dell’analisi grammaticale ai miei studenti per il fatto che non ho ancora trovato un’altra attività che permetta, in così poco tempo e con una consegna sempre uguale a se stessa, di mantenere attivo l’uso della terminologia specifica e di continuare a ragionare su articoli, nomi e aggettivi anche mentre si sta lavorando su avverbi, preposizioni e via dicendo.

Ci si può chiedere: servono veramente le etichette? Sì, per verbalizzare le scoperte e sistematizzare il sapere che può scaturire dall’osservazione dei dati linguistici servono delle etichette, serve un metalinguaggio ben selezionato che, se ben padroneggiato, diventerà strumento per parlare poi anche di altri sistemi linguistici. Questo bagaglio metalinguistico si arricchisce lentamente e con il tempo, necessita di essere allenato e tenuto vivo, e in questo la pratica dell’analisi grammaticale gioca un ruolo importante di consolidamento della terminologia specifica.

Man mano che si procede con lo studio delle varie classi di parole, le frasi proposte per l’analisi grammaticale si arricchiscono e insieme a nomi, articoli, aggettivi e verbi, iniziano a comparire preposizioni, avverbi e pronomi. Il secondo grande potenziale dell’analisi grammaticale è quindi quello di osservare le parole in contesto, di dover decidere l’appartenenza di un termine a una classe in base alla sua distribuzione e non solo al suo significato o alla sua forma. Dovrò saper riconoscere il nome cane come il nome scioglimento; distinguere che allegro è un aggettivo, allegria è un nome; riconoscere se molto è usato come avverbio o come aggettivo.

Tuttavia, in entrambi questi punti a favore sono presenti delle criticità che rischiano di rendere l’analisi grammaticale difficile e velatamente dannosa.

Il primo problema concerne la terminologia specifica: bisogna sicuramente alleggerire la richiesta di etichette da inserire nell’analisi grammaticale.
Ho già detto che il metalinguaggio deve essere ben selezionato e, soprattutto in fase di analisi, dovrebbe essere ridotto al minimo necessario. Tuttavia le grammatiche in uso alla scuola dell’obbligo tendono a moltiplicare le etichette, più che a selezionare e accorpare. Porterò come esempio il genere dei nomi: in qualsiasi grammatica, accanto al genere maschile e femminile, compaiono genere comune e genere promiscuo, che però non si ritrovano in altre classi di parole variabili per genere: aggettivi e pronomi o sono maschili, o sono femminili. Comune e promiscuo sono quindi due termini con cui si indica il particolare rapporto di alcuni nomi con i loro referenti nel mondo reale (insegnante, pianista nel primo caso; tigre, volpe nel secondo) e come tali vanno utilizzati.

Se chiediamo ai ragazzi un’analisi “grammaticale”, basterà chiedere di indicare se il nome è maschile o femminile; qualora ci fosse la necessità di indicare che un determinato nome può comparire sia con l’articolo maschile che con quello femminile, si potrà optare per l’etichetta m/f, come in uso nei dizionari. Una considerazione simile vale per ciò che riguarda la struttura del nome: i ragazzi imparano che un nome può essere primitivo, derivato, alterato o composto, e viene loro chiesto di indicarlo nell’analisi grammaticale. Il problema però è che tutte le parole dotate di significato lessicale possono avere queste caratteristiche: caloroso è aggettivo derivato da calore, arrossire è verbo parasintetico in cui riconosco la radice di rosso, benino è avverbio alterato… perché allora continuiamo a rinforzare l’idea che solo i nomi debbano essere analizzati nella struttura? La mia proposta è di costruire delle attività specifiche dedicate alla formazione delle parole e di evitare di inserire tali etichette nell’analisi grammaticale.

La seconda pratica che è assolutamente necessario rivedere è l’analisi “parola per parola”.
Riscrivere la frase assegnata e poi “calare” una parola per volta aumenta il rischio di errore. Osserviamo ad esempio una frase come la seguente:

L’arrivo degli artisti dentro il teatro fu accolto con grande entusiasmo.

Se gli studenti iniziano ad analizzare parola per parola, possono incappare almeno in un paio di errori: arrivo, decontestualizzato, può essere analizzato come nome e come verbo, ma in questa frase è usato come nome e classificarlo come verbo sarebbe un errore; dentro può essere avverbio o preposizione, ma qui è seguito dal suo complemento il teatro, quindi è una preposizione; e forse anche entusiasmo potrebbe ritrovarsi etichettato come aggettivo, se qualche studente più che alla forma guardasse al significato.

Come ovviare a questi problemi?
Per aiutare i miei studenti, ho provato a trovare un modus operandi che permettesse loro di svolgere l’analisi grammaticale tenendo insieme gli elementi da analizzare. Ho quindi chiesto loro di suddividere la frase in sintagmi anche prima di svolgere l’analisi grammaticale, non solo prima di dedicarsi all’analisi logica.

Se riprendiamo la frase proposta, con la scomposizione in sintagmi, cioè raggruppando le parole fortemente interconnesse tra loro e tenendo isolato solo il verbo, gli studenti avrebbero degli indizi in più per classificare correttamente i vari termini: nel sintagma L’arrivo dovrebbero notare la sequenza articolo + nome; dentro non potrebbe essere un avverbio perché non compare da solo, ma seguito da il teatro (va tuttavia riconosciuto che la segmentazione di questi sintagmi preposizionali va allenata a lungo, perché la tendenza a staccare la preposizione dal sintagma nominale che segue è molto forte anche negli studenti più bravi); entusiasmo accompagnato da un aggettivo dovrebbe far sorgere almeno il dubbio che possa non trattarsi di un aggettivo.

Questa nuova routine, per molti di loro che venivano da anni di scuola primaria con analisi “classiche”, è risultata all’inizio molto destabilizzante. Proponendola però fin dalle prime lezioni, anche solo applicata a sintagmi formati da articoli e nomi, è stata lentamente accettata e utilizzata con buoni risultati da quasi tutti gli studenti. Tra i punti di forza che divertono e convincono i ragazzi, c’è sicuramente il fatto che l’accordo genere e numero all’interno del sintagma nominale appare molto chiaro. Anche in questo caso, gli errori di disattenzione diminuiscono e, qualora si incontrassero nomi o aggettivi che possono essere sia maschili che femminili, gli studenti sono costretti a indicare o la doppia possibilità, o l’uso che se ne fa nel contesto dato. Ad esempio, nel sintagma un forte raffreddore, possono indicare forte come aggettivo maschile o maschile/femminile, ma non solo femminile perché non sarebbe coerente con l’uso nel sintagma specifico da analizzare. Se desiderano indicare m/f, io chiedo anche di cerchiare il genere con il quale viene usato, per rinforzare il concetto di accordo tra parole variabili, troppo spesso dato per scontato nella didattica tradizionale.