Lettere di italiani, lettere dal mondo

Recensione a Lorenzo Renzi, Lettere della Grande Guerra, Il Saggiatore, Milano 2021, pp. 432, €43

È recentemente uscito per Il Saggiatore, nella collana Cultura, un libro da molti atteso, Lettere della Grande Guerra di Lorenzo Renzi. L’autore vi ha lavorato per cinque anni (quindi sin dall’uscita del suo penultimo libro, Gli elfi e il Cancelliere, Il Mulino, 2015), sia per la mole del lavoro, che richiedeva competenze in vari ambiti, sia per le difficoltà, con il sopraggiungere della pandemia, degli spostamenti per raggiungere le biblioteche e continuare le ricerche.

Il libro è un dialogo con due grandi maestri, il linguista e critico austriaco Leo Spitzer e il linguista e lessicografo italiano Tullio De Mauro. Di Spitzer Renzi ha curato per ben due volte le Lettere dei prigionieri di guerra italiani, una volta nel 1976, quando l’opera uscì presso Boringhieri, e una seconda volta nel 2016 per l’edizione del Saggiatore. L’opera di Spitzer inaugurava un modo nuovo di fare filologia, privilegiando come materia di studio la modernità – le lettere dei prigionieri di guerra italiani appunto – e la contaminazione tra linguistica e letteratura, cosa all’epoca assolutamente nuova. Con l’analisi linguistico-stilistica delle lettere dei prigionieri Spitzer aveva voluto indagare la condizione psicologica del soldato italiano, “dell’uomo italiano nella sua natura” (p.16), e si era chiesto se “il ritratto che era venuto fuori dal grande mosaico delle lettere piuttosto che quello dell’italiano non fosse quello del prigioniero in generale, a qualsiasi popolo appartenesse” (p. 16). La domanda era rimasta inevasa. Ora Renzi, comparando documenti e lettere di diversi popoli, prova a dare una risposta e a colmare una lacuna nella ricostruzione storica dei fatti: “l’idea di provare ad avvicinare e a confrontare lettere di diversi paesi, scritte in lingue diverse, sembra non aver attratto gli storici, e non è stata ancora tentata” (p. 15). L’impresa non sarà stata facile, ma ciò non ha scoraggiato il nostro autore, che del resto a lavori tanto poderosi e innovativi ci ha già abituati, a partire dalla Grande grammatica italiana di consultazione.

Tullio De Mauro è stato colui che ha introdotto in Italia la dimensione sociale del linguaggio, come afferma Renzi nella dedica al volume. Con la Storia linguistica dell’Italia unita nel 1963 – e poi con la Storia linguistica dell’Italia repubblicana dal 1946 ai nostri giorni, pubblicata nel 2014 – De Mauro ha infatti ricostruito la storia linguistica dell’Italia utilizzando dati provenienti da altre discipline, dati di storia sociale, di politica, di economia, ha aperto la linguistica al dialogo con le scienze sociali e ha operato così un ribaltamento di prospettiva: se le storie linguistiche del passato si erano basate sui dati provenienti dalla letteratura, la Storia linguistica dell’Italia unita ha recuperato il mondo delle persone poco acculturate e degli analfabeti, che al momento dell’unità, è bene ricordarlo, erano circa il 90% della popolazione. Sull’esempio di De Mauro, Renzi ricostruisce le vicende della Grande Guerra utilizzando le lettere dei soldati semplici, veri protagonisti della guerra, che se non erano analfabeti avevano certamente poca dimestichezza con la scrittura. “In ogni paese i soldati che scrivono, e i civili che rispondono, si immettono nella loro modestia nel grande fiume delle lingue nazionali” (p. 23). Siamo nell’ambito della scrittura popolare, di produzioni a volte a metà strada tra scrittura ufficiale e l’oralità, come nel caso particolarissimo delle lettere in versi dei soldati romeni, “composte secondo lo stile tradizionale della poesia orale” (p. 273). Questo capitolo è stato scritto da Dan O. Cepraga.

Il richiamo a questi due grandi maestri è anche una lezione di metodo, di cui in quest’opera Renzi si fa divulgatore. Per alcune lettere Renzi propone un’edizione diplomatica, come aveva fatto Spitzer, un’edizione che lascia il testo nella sua originalità per preservarne i dettagli linguistici; per altre, la maggior parte, propone un’edizione interpretativa, che rende il testo più comprensibile al lettore non specialista.
Le osservazioni interpretative e linguistiche di Renzi sono molto interessanti. Rilevante è ad esempio, in alcune lettere dei soldati tedeschi, l’annotazione della mancanza dei pronomi soggetto, un fenomeno esclusivo dell’oralità, dato che il tedesco scritto, non essendo una lingua a soggetto nullo, non può sottintenderlo (sind […] haben per «wie sind […] wie haben», p. 203); o nelle lettere italiane quella relativa agli errori delle vocali finali, “riflesso della caduta delle vocali finali nel dialetto” (siamo arivato, p. 101); o ancora “l’abituale assenza di «ne» nella negazione di frase, come nel francese parlato”, in alcune lettere di soldati francesi (nousaurons plus besoin per «nous n’aurons plus besoin», p. 179).

Le Lettere della Grande Guerra si può possono definire, con Enrico Benella che ne ha curato gli apparati dell’appendice, “un libro filologico”. La sua struttura è semplice, nonostante la complessità e la vastità dei temi trattati. Dopo un’introduzione in cui si descrive la vita e l’opera di Spitzer sopra citata, seguono due sezioni, Lettere di italiani e Lettere dal mondo. Nelle lettere di italiani vi è un capitolo dedicato alla catastrofica battaglia di Caporetto, in cui si cerca di fare luce sulle colpe e sulle responsabilità di una sconfitta tanto disastrosa, e un capitolo che ritrae le azioni degli “uomini contro”, ossia dei disertori, degli oppositori e dei pacifisti. Nelle lettere dal mondo vengono presentate le lettere, analizzate e in non pochi casi tradotte dallo stesso autore, dei soldati francesi, tedeschi, inglesi (capitolo scritto in collaborazione con Silvia Rossi), austriaci, romeni e le scritture di coloniali, in particolare di indiani in guerra per la Gran Bretagna. Chiudono il libro un’utilissima appendice, che descrive con l’ausilio di grafici il tasso di analfabetismo durante gli anni del conflitto in Italia e in Europa, e un apparato iconografico, che ritrae soldati di diversa provenienza nell’atto di scrivere documenti.

La scrittura è il protagonista dell’intero libro. Renzi ci ricorda che la “Prima guerra mondiale è il momento in cui per la prima volta viene fatto un uso veramente di massa della scrittura” (p. 21). Il numero di lettere e di altri documenti che circolavano in questo periodo è infatti impressionante: più di cinque miliardi in Italia, più di dieci in Francia e più di ventotto in Germania. Le lettere dei soldati sono diverse da quelle degli ufficiali. Le lettere dei soldati trattano temi legati alla vita quotidiana, agli affetti e alla famiglia; le lettere degli ufficiali, formalmente più corrette, trattano problemi politici e sociali. Le parole che circolano maggiormente nelle lettere dei soldati sono “pace” e “fame”. Le lettere sono semplici ma interessanti anche per i modi in cui i loro autori cercavano di aggirare la censura, che impediva ai soldati di parlare della guerra. E a causa della censura sono dovute, nel corpo di alcune lettere, le interpolazioni di false notizie. Le ragioni delle fake news di allora sono naturalmente diverse da quelle di oggi, ma il risultato che ne deriva è identico.

La scrittura di Renzi è, come in tutte le sue opere, piana e piacevole, mai inutilmente complessa, tratto davvero distintivo del suo stile, sia nel racconto del contesto storico che fa da cornice alle lettere, sia nelle analisi di queste. Per Renzi la semplicità è un valore, un segno di rispetto verso il lettore, che deve poter comprendere agevolmente quanto gli viene proposto, insegnamento anche questo che gli proviene dal maestro Tullio De Mauro, che alla democratizzazione del sapere ha dedicato tutta la sua attività di studioso.

Lettere dalla Grande Guerra è un libro filologico, un libro storico, un libro sul linguaggio, sulla società e sulla condizione degli uomini negli anni della guerra, e forse di ogni tempo; un libro da leggere e sul quale meditare.